martedì 14 maggio 2013

C'era una volta.......


foto di Saverio Barbaro
“Inerpicato sopra di una solida roccia, sul fianco di una splendida vallata, sorgeva un paese, d’epoca bizantina, che fu per quasi mille anni, il giardino più bello di una ben più grande e famosa città fortificata di cui fu il casale principale. D’aria purissima, vi cresceva albero d’ogni sorta, piante d’ogni specie e l’operosità delle proprie genti era rinomata in tutta la valle. Vi erano terrazzamenti coltivati; Alberi di castagno, di gelso, di noce occupavano interi crinali e nei punti più bassi abbondavano i vigneti e gli ulivi. I continui rintocchi dei campanacci delle pecore echeggiavano in tutta la valle e non vi era pascolo libero nel raggio di 10 chilometri. I baroni ed i principi della vicina città regia facevano a gara per averle queste terre, ma non tutti potevano beneficiare di questa immensa fortuna.
L’acqua riempiva ogni vallone ed il fiume cavalcava l’intera vallata. Il torrente, che sgorgava abbondante tutti gli anni, alimentava un susseguirsi di più di tredici mulini che macinavano grano a ritmo continuo. L’industria della seta trovava qui il suo terreno più fertile. In ogni contrada si allevavano bachi da seta ed ogni contadino, che possedeva dei gelsi, arrotondava così le proprie entrate. La seta stessa poi, lavorata in un apposito battitoio di imponenti dimensioni, l’unico della valle, veniva venduta ai mercanti e vestì i nobili di mezza Europa per più di duecento anni.
La povera gente, invece, soleva vestirsi con capi di lana o di orbace (un tessuto ricavato dagli scarti della lana e dalla ginestra) realizzati con abile maestria dalle donne più esperte.
Nelle occasioni più importanti si sfoggiavano i vestiti più belli che si possedevano, i cui colori particolarmente sgargianti divennero, e lo sono ancora, famosi in tutta la provincia. Si usava danzare per ore e ore, e quando ci si riposava, i più abili cantastorie, si esibivano in gare di rime e di terzine rievocando l’antica e mai dimenticata arte omerica della poesia!
Le nostre donne erano vantate, per le loro abilità nel ballo e nel canto, in tutti i casali della regione e molti scritti a proposito, lo testimoniano. Erano anche delle instancabili nutrici ed a loro venivano affidati i figli delle persone più ricche affinché facessero loro da balie. Il loro petto abbondante era sinonimo di salute e di un benessere che erano in grado di trasmettere ai lattanti.
Le più giovinette camminavano per miglia, con i panieri in testa sul cercine, per vendere i prodotti della terra alle fiere settimanali che si svolgevano a fondo valle!
Ed anche lì erano le più ricercate! La bontà dei nostri prodotti era decantata in ogni angolo della città!
La natura con noi era stata veramente magnanima!

Oltre ai parroci ed ai ditterei delle tre chiese del paese, una delle quali era ornata da un bellissimo quadro della Madonna,  abitavano la valle anche delle monache ortodosse eremite. Si dice che fossero qui dall’anno mille e vi resistettero fino alla fine del XVI secolo! Poi, le ultime due rimaste, insieme alla loro badessa, lasciarono spazio ai monaci cattolici. Il loro piccolo convento era meta di pellegrinaggio per i Casali vicini. In tutta la provincia vi erano solo altre cinque abazie dello stesso ordine. Alle porte del paese, invece, sorgeva una piccola abazia il cui canonico, di famiglia nobile, era un illustre ed influente personaggio della città capoluogo. La chiesa, di cui era l’abate, fu, addirittura, la prima commenda di un famoso Ordine di Cavalieri Gerosolimitani di tutto il Regno! Più di 1400 pecore e 60 vacche pascolavano nelle terre qui vicine e numerosi erano i popolani che lavoravano nelle terre di sua proprietà.
Sopra quest’ultima abazia dominava, in posizione panoramica, una torre di tre camere sovrapposte, la cui vista arrivava fino al mare!

Risalendo la vallata, invece, il corso del fiume diveniva più aspro ed una famosa strada (la chiamavano Dromo), che veniva dalla costa, si congiungeva con quella che era la strada più usata dai mercanti cittadini per raggiungere gli altopiani d’Aspromonte. Si risalivano le cime per tagliare la legna di boschi inesauribili o fare dei carichi di neve. Si proprio così, si vendeva persino la neve!! I tronchi dei nostri boschi rifornivano i cantieri navali del Regno e le forniture di neve erano richieste anche oltre mare.

Si parlava un’altra lingua, allora!
In tutti i sensi!
Conservavamo ancora un avito linguaggio che i nostri padri avevano raccolto in eredità dai nostri nonni, che a loro volta lo avevano appreso dai loro padri, e cosi via dicendo a ritroso per secoli e secoli!!!

Eravamo sopravvissuti a calamità di ogni tipo! Terremoti, epidemie, alluvioni, carestie, morbi! Avevamo subito di tutto e nonostante ciò eravamo sempre sopravvissuti!

Oggi i terrazzani, i massari, i vaticali, le nutrici, le balie, i cantastorie non ci sono più! Le terre sono abbandonate, i vecchi borghi paiono cimiteri, i gelsi sono quasi estinti, gli alberi di noce irraggiungibili per l’erba alta, i vigneti incolti, gli ulivi non curati e di grano non se ne macina più!
I conventi hanno fatto spazio a costruzioni nuove, le vecchie case in pietra al cemento armato ma soprattutto la rassegnazione all’entusiasmo ed il ricordo di questa splendida storia durata un millennio pare sia svanito in poco meno di due generazioni!”

Questa storia è la nostra!
RIPRENDIAMOCELA!

di Francesco Trunfio

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